- Che cos’è
- Sintomi
- Come curarla
Sindrome radicolare: che cos’è
Da tempo accusi un forte mal di schiena ma non sai nello specifico cosa sia? Prova a leggere i nostri articoli per trovare la risposta giusta a te e contattaci per chiedere un aiuto e non sentire più dolore!
La sindrome radicolare è un quadro clinico caratterizzato dall’irritazione di una radice nervosa spinale lombare/sacrale nella zona di fuoriuscita della radice dal forame di coniugazione. Il tipo di quadri che determina sono sostanzialmente due una lombosciatalgia o una lombocruralgia.
Il 10% dei soggetti con mal di schiena schiena soffrono di sciatica Il 40% della popolazione generale ha sofferto almeno una volta nella vita di lombosciatalgia.
Dai 40 ai 60 anni il rischio di andare incontro ad una lombo/sciatalgia è più alto ed è interessante vedere come questo aumento del rischio sia ben definito, poiché è stato misurato che ogni 10 anni andiamo incontro ad un aumento del rischio intorno al 40% in più rispetto alla decade precedente. I soggetti anziani hanno un aumento del rischio invece di lombocruralgia, questo perché la degenerazione vertebrale parte dai somi più bassi e poi va a salire; quindi, se sono già degenerati o se c’è stata una disidratazione a livello L5-S1 probabilmente rimangono integri i dischi più alti.
Sintomi
La sciatalgia presenta dolore irradiato lungo il decorso del nervo sciatico, dal gluteo alla parte posteriore della coscia e postero-laterale della gamba, fino alla caviglia; le radici interessate sono L5/S1 (90% dei casi), L4/L5 (10% dei casi).
La cruralgia presenta dolore irradiato lungo il decorso del nervo femorale, parte anteriore della coscia fino alla parte anteriore della gamba; le radici interessate sono L2/L3/L4. Il tipo di sintomi caratteristici della sindrome radicolare sono, dolore che supera normalmente il ginocchio, si hanno dei deficit di sensibilità, della forza e dei riflessi spinali e si hanno dei sintomi associati che sono parestesia, intorpidimento e sensazione di aghi e spilli
Fattori a rischio:
Si potrebbe confondere una patologia più importante, come la lombosciatalgia, con un semplice mal di schiena. E’ bene andare a delineare quali sono i fattori a rischio.
I fattori di rischio possono essere di tipo biologico come l’età compresa tra i 45-64 anni, soggetti alti, in sovrappeso e le donne in gravidanza.
Altri fattori di rischio possono essere quelli comportamentali poiché sappiamo che attività fisiche ad alto impatto determinano un rischio maggiore, rispetto a chi pratica aerobica a basso impatto, una guida prolungata a causa delle vibrazioni. Mentre il fumo non è un fattore di rischio, però sembra peggiorare l’efficacia del trattamento sia chirurgico che conservativo. Esistono fattori di rischio anche occupazionali, poiché sappiamo che il lavoratore manuale, i conducenti di macchine da lavoro sono più soggetti ad ernia del disco rispetto ai lavoratori sedentari, è più frequente nei soggetti che compiono frequenti sollevamenti, che lavorano in posizioni scomode o in flessione o in rotazione o con le mani sopra le spalle e che patricano poca attività fisica.
Come curarla
Per quanto riguarda il trattamento è possibile intervenire con manipolazioni, trazioni, ma anche mobilizzazioni, massaggio ed esercizio terapeutico seguendo quelli che sono i sintomi del paziente.
È Importante ricordare che l’efficacia della discectomia a lungo termine è sovrapponibile al trattamento conservativo. È stato visto che ha lungo termine i due percorsi si sovrappongono tranne in quei casi dove l’intervento chirurgico è inevitabile. Il trattamento chirurgico viene considerato se c’è un deficit motorio ingravescente (che sta progredendo) o superiore alle 6 settimane come la sindrome della cauda equina il quale rappresenta una indicazione assoluta all’intervento chirurgico, da effettuare entro 24-48 ore dalla comparsa dei sintomi come: l’anestesia a sella, l’incontinenza e deficit di forza ingravescente.
Da diversi studi di imaging la maggior parte delle ernie discali lombari regredisce del tutto o quasi, il 50% dei pazienti migliora spontaneamente nei primi 10 giorni, il 75% nelle prime 4 settimane e a distanza di 2 anni circa il 51% dei pazienti recupera completamente senza chirurgia. In caso di deficit di forza abbiamo nella maggior parte dei casi una guarigione totale nell’arco di 3 mesi o un anno, la prognosi è favorevole.